È vero: all’epoca, scuole di scrittura non ce n’erano. Tempi duri, toccava far tutto da soli. Eppure si scriveva; e capolavori, eh, mica robetta. Quindi, l’obiezione sembra sensata. Se loro l’hanno fatto…
Il punto è che, con tutto il rispetto, potresti non essere il nuovo Tolstoj. E, nonostante tanti sforzi, potresti accorgerti che quello che scrivi è proprio robetta. Magari a te piace pure, ma agli altri ahimé… proprio no. Così gli editori rifiutano i tuoi scritti, tu imprechi e autopubblichi il romanzo. A quel punto, i lettori non lo comprano. Tu imprechi, ti lamenti che i lettori non capiscono niente, ti convinci di essere un genio incompreso, e continui a scrivere.
Attenzione: potresti avere ragione: se tu sei davvero un genio incompreso, potrebbe accaderti proprio questo. Insomma, se la tua narrativa è già perfetta e tu non hai niente da imparare, il problema è degli altri. Ma forse sei un po’ più umile, e non pensi di essere già arrivato. Pensi solo che se i grandi del passato hanno trovato una strada che non aveva a che fare con l’insegnamento, allora quella strada potresti ripercorrerla anche tu. Poi però ti viene il sospetto che le cose non stiano esattamente così: già allora si facevano manuali di scrittura; molti scrittori facevano un proprio manuale: sulla propria arte, sullo stile, sulle difficoltà. Si pensi ai saggi di London (tra le recensioni trovi quella al suo Pronto soccorso per scrittori esordienti), o a quello di Schopenhauer, Sul mestiere dello scrittore e sullo stile, o ancora alla Filosofia dello stile di Herbert Spencer. Ne abbiamo centinaia. Perché lo facevano? Semplice: perché si sentiva il bisogno di codificare l’arte della scrittura, di distillarne l’essenza, i segreti, i trucchi, le scorciatoie. In assenza di scuole, in cui si discutesse tutto questo, quei manuali circolavano e producevano teoria e tecnica della narrazione.
Tu rifletti su questo e ti metti a pensare: posso leggere l’opera omnia di tutti i grandi e imparare da quello che hanno scritto; oppure, mi metto a leggere i manuali. La prima sembra più divertente; ma quanto tempo ci vorrà? Cominci a fare due conti, e la cifra diventa subito enorme. L’idea dei manuali, di poter fare più velocemente prendendo solo il succo concentrato, ti attrae. Ti metti all’opera e ne leggi uno, due, tre, e subito capisci che i consigli sono ottimi, certo; ma ognuno dice la sua, ognuno intride di soggettività il suo insegnamento; perché erano scrittori, mica insegnanti: c’è una bella differenza.
E allora la domanda diventa presto un’altra: e se frequentassi una scuola di scrittura? Avrei qualcuno che ha letto tutti questi manuali, che scrive e ha applicato queste tecniche (se è un docente che scrive, oltre a insegnare) e che in una manciata di ore potrà spiegarmi tutto quello di cui ho bisogno. Mi troverò in un’aula insieme ad altre persone che hanno i miei stessi problemi, mi gioverò della loro esperienza. Se non ho capito qualcosa, potrò fare domande; se ancora non ho capito, mi faranno degli esempi. Potrò chiedere al docente di esaminare un testo mio, scritto da me, un pezzo su cui sto lavorando da tanto tempo e che non riesco a chiudere come vorrei…
Questo è quello che pensi; o forse no. Ad ogni modo, tutto questo i grandi non ce l’avevano. Tu sì. Che decisione prenderai?