Perduto – di Paolo Calabrò

(racconto scritto durante il Week-end da scrittori del 2 giugno 2025)

Siamo a Caiazzo. Pensavo che la salita non sarebbe finita mai. Invece, ecco la piazza. Solo che non so se è qui che dovevamo arrivare. Temo di essermi perduto. In lontananza, vedo delle panchine, almeno potremo sederci. Lui continua a fare un passo dopo l’altro, a occhi bassi, non mi chiama, non si lamenta, non mi dice che ha freddo. Eppure fa freddo, altroché; e il vento spazza la strada con furia, fa oscillare le luci fin quasi a staccarle dai lampioni, si spinge sotto al cappotto, ogni lembo è buono per infilarsi. Lui non dice neanche una parola; non una, da quando siamo partiti. Ha una compostezza che non ti aspetti da un bambino di otto anni; non di fronte a una fatica come questa. Non immagino come possa sentirsi, dopo tutto il cammino fatto. A me il dolore ormai è arrivato alle spalle. All’inizio – eravamo ancora a Caserta – mi facevano male solo i piedi. Pian piano il dolore è salito alle caviglie, ai polpacci; poi alle anche, e lì ho temuto di perdere qualche passo e rovinare a terra. Dopo un po’ mi sono abituato – a tutto ci si rassegna, a tutto – e ho smesso di pensarci. È curioso: certe volte, se smetti di pensarci, non ti fa male più. Siamo andati avanti. Lui ha continuato a non dire niente per tutto il tempo, anche quando gli ho chiesto se voleva riposarsi. Ho pensato che forse quello era il suo modo per combattere il freddo: risparmiare il fiato per trattenere il calore con sé. Furbo. È proprio vero che i piccoli sanno sempre come stupirci.

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Vite a poco prezzo – di Paolo Calabrò

(racconto scritto durante il Week-end da scrittori del 6 luglio 2024)

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«Che ti ha fatto di male quell’arrosto?» le dice, mentre la osserva tagliare la fetta che ha nel piatto con una furia che conosce bene: è quella di quando c’è qualcosa che la impensierisce. Peggio: che la preoccupa.

Il locale è buio, luci basse, musica appena percettibile. Rhythm’n’blues, pensa lui, ma non ne è sicuro. Lo stesso locale che all’ora di pranzo è affollato e rumoroso, riempito dal chiacchiericcio e dallo schiamazzo della radio, la sera si fa intimo, riflessivo.

«Niente – fa lei. – Si raffredda». Sapeva che avrebbe risposto così: lei dà sempre una spiegazione di quello che fa, anche quando non la conosce. Anche quando non ce n’è una. detesta essere colta in fallo – il che a volte significa semplicemente non aver voglia di parlare di quello che veramente ha in testa. Era una delle cose che l’aveva fatto innamorare di lei: aveva sempre la battuta pronta; anche quando era talmente assurda da essere ridicola. Ridevano spesso insieme. Ma non stasera.

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Minuti contati – di Michela Santini

Una folla è radunata attorno a un furgone con il muso schiacciato e il parabrezza distrutto. Un bisogno l’attrae, e in un attimo, Patty emerge davanti alle lamiere contorte di un’auto. Al suo fianco solo facce sgomente, e dietro curiosi che premono per guardare. Qualcuno piange. Un uomo sanguinante è steso sul marciapiede, un’anziana parla con Dio.

«Avete chiamato l’ambulanza?» urla qualcuno.

«Serviranno i vigili del fuoco per estrarre il corpo!» commenta un anziano.

«Quale corpo?» domanda Patty. Nessuno risponde.

Un tizio brufoloso parla al telefono: «L’auto è irriconoscibile».

«È una Cinquecento crema» interviene Patty. Lui si volta: «Come ha detto?»

«Non ho parlato» dice un anziano calvo. Lui gli lancia uno sguardo ombroso.

«Sono stata io» insiste Patty.

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Viaggio fra gli scaffali – di Sergio Fadini

Aprire la finestra e sentire solo il cinguettio degli usignoli che salutano la giornata primaverile non è affatto male per affrontare al meglio questa domenica.

Se non fossimo costretti a rimanere confinati nel comune di residenza me ne andrei a fare una gita fuori porta.

Ma siamo ancora in fase pandemica, sebbene la scienza ci abbia dimostrato come sempre grande affidabilità.

Anchilosato da mesi chiuso in casa, brevi eccezioni necessarie a parte, decido che andrò al supermercato, quello al confine con il paese a fianco.

Per l’ebbrezza di spostarmi.

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