(racconto scritto durante il Week-end da scrittori del 2 giugno 2025)
Siamo a Caiazzo. Pensavo che la salita non sarebbe finita mai. Invece, ecco la piazza. Solo che non so se è qui che dovevamo arrivare. Temo di essermi perduto. In lontananza, vedo delle panchine, almeno potremo sederci. Lui continua a fare un passo dopo l’altro, a occhi bassi, non mi chiama, non si lamenta, non mi dice che ha freddo. Eppure fa freddo, altroché; e il vento spazza la strada con furia, fa oscillare le luci fin quasi a staccarle dai lampioni, si spinge sotto al cappotto, ogni lembo è buono per infilarsi. Lui non dice neanche una parola; non una, da quando siamo partiti. Ha una compostezza che non ti aspetti da un bambino di otto anni; non di fronte a una fatica come questa. Non immagino come possa sentirsi, dopo tutto il cammino fatto. A me il dolore ormai è arrivato alle spalle. All’inizio – eravamo ancora a Caserta – mi facevano male solo i piedi. Pian piano il dolore è salito alle caviglie, ai polpacci; poi alle anche, e lì ho temuto di perdere qualche passo e rovinare a terra. Dopo un po’ mi sono abituato – a tutto ci si rassegna, a tutto – e ho smesso di pensarci. È curioso: certe volte, se smetti di pensarci, non ti fa male più. Siamo andati avanti. Lui ha continuato a non dire niente per tutto il tempo, anche quando gli ho chiesto se voleva riposarsi. Ho pensato che forse quello era il suo modo per combattere il freddo: risparmiare il fiato per trattenere il calore con sé. Furbo. È proprio vero che i piccoli sanno sempre come stupirci.
Leggi tutto “Perduto – di Paolo Calabrò”